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Intervista a Mauro Amenta

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Mauro Amenta arriva nella capitale nel 1979, all’alba dell’era Viola-Liedholm. È la Roma del lupetto di Gratton, della maglia “ghiacciolo” e delle due Coppe Italia che anticipano lo scudetto del 1983. Dopo aver visto sfumare in maniera beffarda quello del 1981. Il centrocampista arriva dalla Fiorentina, dopo un trascorso al Perugia, e in giallorosso contribuisce a creare i presupposti della Roma campione d’Italia 1983. Come avrà modo di ricordare anche Falcao, ringraziando i compagni delle stagioni precedenti e non più alla Roma nell’anno dello scudetto. Sono tante le curiosità vorremmo toglierci con un giocatore che ha vissuto, anche se solo in parte, quegli anni irripetibili e che ha lasciato un buon ricordo nella tifoseria. Ecco la nostra intervista esclusiva a Mauro Amenta, che ringraziamo di cuore.

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Sei stato uno dei primi esempi di giocatore universale in grado di ricoprire diversi ruoli. Potendo scegliere, in quale posizione avresti giocato?

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Sinceramente avrei giocato in mezzo al campo e più precisamente davanti alla difesa, nel ruolo di mediano. Mi piaceva marcare il centrocampista avversario più forte.

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La Coppa Italia 1980 per i tifosi della Roma ha un sapore particolare. La finale l’hai giocata da titolare con la maglia n.11. Che ricordo hai di quella partita?

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Il mio ricordo più bello di quella finale fu poter giocare nel ruolo di tornante da ala sinistra.

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Hai fatto parte della primissima Roma di Viola e Liedholm. Nel tuo secondo anno arrivò anche Falcao. C’era la sensazione che stesse nascendo una squadra così forte?

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Sì, effettivamente nell’aria c’era l’odore di una rivoluzione che poi si concretizzò con la conquista della seconda Coppa Italia (1981) e con il secondo posto in campionato.

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Amenta, secondo in piedi da sinistra tra Rocca e Pruzzo, durante la Transatlantic Challenge Cup, disputata nel maggio 1980 in USA e Canada (Foto Crescenzi)
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Abbiamo letto che in allenamento Liedholm ogni tanto ti schierava in porta. Oppure che vi faceva calciare da centrocampo mirando alla traversa e ogni centro valeva mille lire e tu eri uno dei più precisi. Sono veri questi aneddoti? Che ricordo hai di Liedholm?

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Il mister mi metteva in porta nelle partitelle perché mi divertiva molto e in effetti ero uno dei più precisi della squadra. È stato indubbiamente il miglior allenatore che abbia avuto.

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Ripensando a quegli anni di Roma, qual è la prima cosa che torna in mente? Il ricordo più caro? Un rimpianto in particolare?

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Il ricordo più caro degli anni alla Roma è quello dei compagni di squadra; ho legato con tutti. Il rimpianto più grande è sicuramente la mancata vittoria del campionato.

 

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